Con l’ordinanza 24.9.2025 n. 26021, la Cassazione ha statuito che il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro ha l’onere di provare, da un lato, il nesso causale tra lo svolgimento delle proprie mansioni e l’infortunio occorso e, dall’altro, le conseguenze che ne sono derivate, limitandosi ad allegare l’inadempimento datoriale.
Fatti di causa
Un lavoratore agiva in giudizio per ottenere il riconoscimento di tutti i danni subiti in seguito a un infortunio occorso sul luogo di lavoro: nello svolgimento delle sue mansioni di trafiliere, mentre tagliava un tondino di ferro con le forbici, veniva colpito all’occhio sinistro da un pezzo del metallo rimosso, riportando una gravissima lesione.
La Corte d’Appello, confermando quanto statuito dal giudice di primo grado, aveva respinto le domande di risarcimento del danno avanzate dal lavoratore. In particolare, il giudice di seconde cure aveva motivato la propria decisione precisando, tra le altre cose, come il lavoratore non avesse provato la dinamica dell’infortunio, ossia la modalità esatta con cui stava svolgendo l’operazione di taglio, nonché come il datore avesse fornito al lavoratore i dispositivi di protezione individuali, tra cui gli occhiali protettivi.
Avverso questa pronuncia il prestatore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione, articolando un solo motivo di ricorso: la Corte territoriale non si sarebbe attenuta ai principi enunciati dalla giurisprudenza in materia di infortunio sul lavoro quanto all’individuazione degli oneri di allegazione e prova, delle condotte che dovevano pretendersi dal datore e del dovere di vigilanza di quest’ultimo sull’uso delle misure di protezione.
Ragioni della pronuncia
Investita della controversia, la Cassazione chiarisce che la responsabilità ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, sicché il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro si pone nei medesimi termini di cui all’art. 1218 c.c.
Il lavoratore deve pertanto allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno, nonché il nesso causale di questo con la prestazione; diversamente, il datore deve dar prova che il danno sia dipeso da causa a lui non imputabile, cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza predisponendo tutte le misure atte a evitarlo.
I giudici di legittimità evidenziano quindi come il lavoratore avesse, in effetti, allegato e provato l’esatta dinamica del sinistro, nonché il nesso eziologico che lo connetteva al rapporto di lavoro: aveva, cioè, dimostrato che le lesioni subite erano state cagionate da un pezzo di ferro che si era conficcato nel suo occhio sinistro nel corso dello svolgimento della propria mansione.
Pertanto, avrebbe dovuto sorgere il diverso obbligo del datore di provare di aver adempiuto a tutte le prescrizioni di sicurezza necessarie in base alla lavorazione svolta.
In merito, la Corte precisa come l’oggetto dell’onere della prova a carico del datore attenga al rispetto di tutte le prescrizioni specificamente dettate dalla legge nonché di quelle suggerite dall’esperienza, dall’evoluzione tecnica e dalla specificità del caso concreto, a maggior ragione quando l’esecuzione della prestazione sottopone il lavoratore a un particolare pericolo insito nella mansione, come può essere quella di tagliare un tondino di ferro con le forbici.
Inoltre, quanto all’ampiezza della diligenza richiesta al datore, i giudici di legittimità precisano come quest’ultimo rimanga responsabile altresì per l’omessa predisposizione di tutte le misure e le cautele idonee e preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore, anche per la mancata vigilanza circa l’uso dei dispositivi di protezione individuale.
In altre parole, il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al dipendente, sia quando ometta di adottare le misure protettive, sia quando, pur avendole predisposte, non vigili affinché queste siano rispettate: la condotta colposa del lavoratore non può avere alcun effetto esimente e neppure può rilevare ai fini del concorso di colpa.
La Corte chiarisce ulteriormente come il c.d. rischio elettivo, che comporta la responsabilità esclusiva del prestatore di lavoro, sussista solo nel caso in cui quest’ultimo abbia posto in essere “un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante” rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, in forza di una scelta arbitraria volta a far nascere e ad affrontare una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, creando condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro.
Decisione
A fronte di tutte le ragioni esposte, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso fondato e cassa la pronuncia impugnata. Pertanto, il giudice del rinvio, adeguandosi ai principi enunciati, dovrà procedere al riesame della controversia.





